martedì 28 febbraio 2012

Ilva Taranto: scoppia un vasto incendio ad un trasformatore!

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E' delle 15 del 28 febbraio 2012 la notizia di un vasto incendio nello stabilimento siderurgico, noto più per i danni ambientali e i morti sul lavoro che per la sua produzione, Ilva di Taranto. Le fiamme hanno completamente invaso un trasformatore a bagno d'olio, ovvero uno strumento per la produzione di energia elettrica utile al funzionamento dello stabilimento. Secondo le prime indiscrezioni l'incendio si sarebbe sviluppato proprio durante le operazioni di messa in funzionamento del trasformatore.


Sul luogo, dove si è sviluppata una densa nube di fumo visibile dalla città, sono presenti tre squadre dei vigili del fuoco, oltre alle squadre di sicurezza del cantiere ed ai tecnici Arpa, che stanno cercando di domare le fiamme e di monitorare il pericolo ambientale che da un fatto così grave potrebbe scaturire.




Fortunatamente l'allarme è rientrato intorno alle 18:00 senza gravi danni per le persone e l'ambiente. Una sciagura sfiorata fortunatamente e la cosa rende tutti tranquilli, ma le associazioni ambientaliste della città di Taranto, Legambiente in testa, mettono in evidenza un problema gravissimo per la popolazione. In una nota di Legambiente, infatti si legge che: "Gli incidenti negli stabilimenti industriali di Taranto, in particolare nella raffineria Eni e negli impianti Ilva, ricordano a tutti che nella nostra città vi sono ben 9 impianti a rischio di incidente rilevante". "In merito al rischio incendi in particolare, ci risulta - conclude Legambiente - che l'Ilva non avrebbe ancora ottemperato a tutte le prescrizioni previste nel proprio certificato antincendio, mentre l'Eni ne sarebbe ancora priva".


venerdì 10 febbraio 2012

L'assassino silenzioso

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Tra proteste e accordi bi-partisan, in Italia si continua morire per il carbone

Vado Ligure, provincia di Savona, una cittadina famosa per ospitare, praticamente entro le sue mura, uno dei peggiori mostri industriali d'Italia: la centrale a carbone "Tirreno Power" che produce energia elettrica, ma soprattutto dolore e disperazione. In totale due blocchi produttivi da 330 MW ciascuno, capaci di bruciare in un solo giorno 5000 tonnellate di carbone, da quarant'anni, ininterrottamente ed allo stesso tempo di emettere una enorme quantità di sostanze inquinanti, i cui effetti provocano danni fino a 48 Km di distanza.

Dopo anni di proteste, volte a mettere in luce il fatto che la centrale di Vado Ligure è dannosa per l'ambiente e per le persone, è arrivata la beffa. Inatti è previsto un incremento di produzione, con l'aggiunta di un nuovo reattore da 460 MW. La situazione è paradossale, dato che a pochi metri dalle enormi ciminiere il numero delle persone che si ammala, e muore, di malattie direttamente riconducibili alle esalazioni della centrale è altissimo.

I dati raccolti in merito ai danni provocati da questo mostro sono a dir poco sconcertanti, a sentirli vengono i brividi, ma la cosa peggiore è la disperazione che si legge sui volti di chi è costretto a convivere con la morte e le malattie ogni giorno, restando inermi ed inascoltati da tutti. Leggendo i numeri della mortalità per tumore e cancro di quelle zone sembra di avere di fronte un bollettino di guerra, ma in questo caso chi si ammala e muore non può difendersi, anzi...
Vado Ligure: Centrale elettrica a Carbone "Tirreno Power"
L'ordine dei medici della zona denuncia che la mortalità maschile per tumore ai polmoni in Italia è di 54 individui per 100.000 abitanti, mentre è di 97 a Savona e di 112 a Vado Ligure, ovvero il 100% in più di decessi. La domanda, a questo punto, sorge spontanea, perché si dovrebbe dare la responsabilità di questi dati alla centrale elettrica di Vado?
La risposta è molto semplice, basta leggere i dati sulle emissioni inquinanti dell'impianto. Tanto per fare un esempio il 78.5% delle emissioni del PM 2.5 rilevate nella zona è riconducibile al solo gruppo a carbone. Inoltre il danno ambientale è così elevato che anche la natura ne soffre, infatti le colline che circondano  la centrale sono completamente prive di vegetazione, con il conseguente insorgere dei vari problemi idro-geologici che ciò comporta. In altre parole le condizioni di vita in questi posti sono davvvero disumane, viene anteposto al bene comune l'interesse di pochi.

Ma questo non è l'unico esempio di disastro ambientale dovuto all'industria in Italia, ne siamo pieni, grossissime realtà industriali che deturpano ambiente e territorio, provocando danni incalcolabili, causando malattie incurabili e che tengono banco minacciando di mettere per strada le migliaia di lavoratori  e le loro famiglie che hanno la sola colpa di respirare per intere giornate tutti i veleni che essi stessi producono. Basta guaardare le immagini dell'Italia da Google Maps e ci si accorge di come da Nord a Sud si possano trovare città con livelli di inquinamento maggiori di quelli di Vado Ligure, ciascuna con la sua particolarità, infatti si va da impianti siderurgici, ad inceneritori, porti enormi, produzioni di autovetture, estrazioni di petrolio, discariche e molto altro ancora. Questi centri colpiscono giornalmente una grossa fetta della popolazione italiana, provocando danni allucinanti, ma a tutt'oggi nessuno è in grado di prendere provvedimenti seri, che possano riportare la situazione nel binario giusto.

Uno dei pochi esempi di intervento della politica in materia ambientale è quello della regione Puglia, che dal 2008 prova a combattere l'inquinamento da diossina, altissimo in zone come quella di Taranto vessata dall'Ilva e come quella di Brindisi vessata dalla centrale a carbone dell'Enel di Cerano. La legge regionale del 2008 provava ad imporre alle industrie la diminuzione delle emissioni di diossirani (gli inquinanti atmosferici più pericolosi, che vengono prodotti per combustione ad altissime temperature di materiale organico) in atmosfera, gradualmente, per riportarle fino ai valori massimi previsti dalle normative europee (0,4 ng/mc), partendo però da dati allucinanti fino a dieci volte superiori, pena la chiusura degli impianti. In realtà questo provvedimento legislativo non ha portato grosse migliorie, perché a Taranto ed a Brindisi si continua a morire, proprio come in una guerra, contro un nemico indistruttibile.
Si continua a prodursi il veleno perché non c'è altro da fare, perché almeno li ti pagano per el
iminarti da solo, ma questa è un'altra storia!

Ora pare che in un paese industrializzato e tecnologicamente avanzato come l'Italia non si deve sapere che accadono giornalmente questi scempi e che soprattutto nessuno si occupa dei milioni di persone esposte a pericoli mortali e che loro malgrado hanno un costo economico e sociale elevatissimo per il resto della popolazione. Perché secondo me, il danno che queste situazioni portano non è solo ambientale, sanitario ed economico, ma anche e soprattutto sociale, poiché la morte porta tristezza, fa diminuire la voglia di vivere e lottare, perché a molti questa sembra una battaglia persa in partenza.
Particolare dello stabilimento Ilva di Taranto
Io personalmente vivo molto vicino alla città di Tranto e tocco giornalmente con mano quello che accade a causa della solitudine in cui sono costretti a vivere i cittadini, ma la cosa più brutta è che vedi il numero delle persone stanche di vivere e di lottare che diminuisce sempre più perché tanto non c'è nulla da fare. E quando si dice che non c'è nulla da fare ci si chiude in se stessi e si spera. Si spera che il prossimo non sia tu, che non ti tocchi di affrontare il nemico silenzionso. E il nemico è silenzioso perché non ti accorgi quando arriva, perché nessuno ne parla, perché la morte non fa rumore, perché chi resta è troppo impegnato a soffrire per urlare il proprio dolore.

Allora viene da chiedersi cosa si può fare, ma soprattutto se si può davvero fare qualcosa. E fino ad ora non c'è risposta certa a questa domanda, o meglio chi dovrebbe cessare di commettere reati sulle spalle della povera gente non ha alcun interesse a farlo. E soprattutto chi dovrebbe garantire i cittadini che le regole si rispettino - dato che le regole già ci sono e basterebbe almeno rispettare quelle, seppur vecchie e magari non proprio adeguate - controllando che le aziende non provochino danni ambientali, spesso ha esso stesso interesse affinché le cose continuino ad andare in quel modo. Insomma si specula sulla vita della povera gente inerme, in barba alla legge.


Alì
 

martedì 25 ottobre 2011

Agrimonda di Marigliano (NA), 15 anni di abbandono

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La questione Agrimonda è una storia vecchia di quindici anni, e come tante altre storie italiane rischia di non cambiare, o meglio di non arrivare al "lieto fine", per altri quindici o venti anni senza che nessuno degli organi competenti muova un dito per garantire ai cittadini, di Marigliano e Mariglianella (NA), un futuro migliore e una città più pulita.

Per capire come questa storia è iniziata è necessario fare un passo indietro nel tempo e ritornare a quindici anni fa, quando il deposito di fitofarmaci (prodotti chimici per l'agricoltura) Agrimonda, appunto, fu avvolto dalle fiamme e distrutto, secondo le indagini da un incendio di natura dolosa. In quell'occasione, furono distrutti circa 30 mila Litri di sostanze liquide e oltre 1000 tonnellate di sostanze solide, che secondo i dati rilevati nel tempo, hanno prodotto diversi derivati di sostenza come benzeni, xileni, ecc. Da allora tutto procede secondo i programmi: nessuno muove un dito!
Il paradosso è che quella fabbrica è situata a pochissimi metri da abitazioni civili e da oltre quindici anni essa giace, con il carico di veleni e morte che contiene, senza che nessuno, oltre ad un cartello con la scritta "area sottoposta a bonifica" ed un intervento di "Bioventing" (una tecnica di bonifica di terreni inquinati da idrocarburi e altri agenti tossici e patogeni, che prevede l'utilizzo di ossigeno per attivare i processi di biodegradazione naturale di alcuni dei composi inquinanti, ma da sola non è sufficiente per la bonifica definitiva, poiché agisce su un ristretto numero di agenti inquinanti), abbia fatto qualcosa di utile per attutirne la pericolosità.

Naturalmente, ma la cosa non dovrebbe affatto sorprendere, i vari livelli istituzionali si sono passati la patata bollente e hanno scaricato le colpe della mancata bonifica su altri, ma intanto i cittadini e il suolo continuano ad essere in gravissimo pericolo. Per esempio nel Dicembre 2009, a tredici anni dall'accaduto, il commissario governativo nella persona dell'Ing. Parente, senza aver attivato nessuna opera di bonifica del sito, tranne quella preliminare di Bioventing, voleva passare le chiavi del deposito dell'ex Agrimonda ai rappresentanti del comune di Mariglianella, poichè il 31 Dicembre dello stesso anno la gestione straordinaria del commissario sarebbe cessata. Per tutta risposta i rappresentanti del comune si rifiutarono di accettare il "dono" e ne nacque una querelle, nello stile perfetto della commedia all'italiana. 

Intanto i cittadini non ci stanno a subire tutto ciò, ma restano impotenti ad ammirare il "duro lavoro" svolto da chi dovrebbe occuparsi di loro, aspettando chissà per quanto ancora di vedere qualche risultato. Numerose sono state le denunce e gli esposti che i vari comitati, nati per far fronte all'emergenza, hanno presentato alla magistratura, che però non ha potuto, o non ha voluto fare nulla. 

Il fatto è che l'ex deposito Agrimonda di Mariglianella è uno dei vertici del famosissimo triangolo della morte campano, insieme ad Acerra e Nola, dove chi dovrebbe intervenire ha le mani legate, poichè i propri interessi devono necessariamente essere anteposti a quelli dei cittadini, e dove chi deve vigilare è spesso impegnato a intascarsi "bustarelle" o a guardare dall'altra parte. 
Ma alla fine chi paga? Nessuno, dato che anche i 600 mila Euro promessi dal Ministero dell'Ambiente non sono più stati destinati a questo disastro ambientale, tanto chi è già morto ormai non può più ribellarsi, e chi è ammalato farebbe meglio a pensare alla propria malattia piuttosto che sprecare tempo per evitare che altri si ammalino. 
Ma soprattutto chi informa i cittadini? Nessuno, ovviamente, dato che questi, come si vede nel video messo in rete da ilfattoquotidiano.it e realizzato da Katiuscia Laneri, devono informarsi da soli, per emergere da quel brutto stato di indifferenza in cui sono abbandonati da ormai quindici anni.



Alì

lunedì 24 ottobre 2011

SEMINARIOeLABORATORIO - Autocostruzione Edilizia ISF Bari

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Sono molto lieto di ospitare in queste pagine la locandina ed il programma di un evento molto importante, organizzato dalla sede di Bari Di Ingegneria Senza Frontiere, che si terrà presso il politecnico del capoluogo pugliese nei giorni 27 e 28 Ottobre 2011 e che tratterà il tema dell'autocostruzione edilizia. 
Riporto qui di seguito un estratto del comunicato stampa reperibile sul sito http://www.isfbari.org/, dove è anche possibile trovare tutte le informazioni necessarie per la partecipazione all'evento, il programma e i contatti degli organizzatori.


"Chi non ha mai sognato di costruirsi la propria casa? Realizzare con le proprie mani gli spazi in cui trascorriamo la maggior parte della nostra vita quotidiana, magari adoperando tecnologie e materiali sostenibili ed eco compatibili?


La pratica dell'autocostruzione si differenzia da altri sistemi di edificazione per il fatto che i futuri proprietari partecipano concretamente alla realizzazione della loro casa con l'apporto del proprio lavoro, del proprio tempo, delle proprie capacità. Non è necessaria una particolare esperienza o competenza tecnica, ma solo la disponibilità al "lavoro di squadra", coordinato dall'assistenza tecnica di professionisti adeguatamente formati.


E' una pratica innovativa con prescise tecniche costruttive che ha come risultato finale un prodotto architettonico efficiente, a costo accessibile, frutto dell’integrazione tra tecniche manuali antiche e metodologie e materiali attuali.


L’autocostruzione può inoltre configurarsi come una delle possibili soluzioni alla questione abitativa, quella dell’accesso ad una abitazione dignitosa a soggetti che faticano a trovare nel mercato immobiliare una risposta accessibile alle loro disponibilità economiche, ed è per questa ragione che non può essere vista solo esclusivamente come un processo tecnico, ma anche per le sue conseguenze di carattere sociale.


Con questi presupposti l'associazione Ingegneria Senza Frontiere-Bari, in occasione delle Giornate Mondiali per il Diritto ad Abitare, promuove questo seminario formativo, che avrà luogo nei giorni 27-28 ottobre 2011 presso l'aula Magna "E. Orabona" del Politecnico di Bari.


Il seminario si propone di fornire una descrizione del processo edilizio di autocostruzione, attraverso l’analisi delle varie fasi di progettazione, realizzazione e gestione del cantiere, con un approfondimento sulle Cooperative di Abitanti e sul loro ruolo nella progettazione partecipata. L’analisi verrà arricchita da un focus sulla situazione in Puglia, con la presentazione di esperienze di autocostruzione e autorecupero avviate da associazioni locali.


Un’intera sezione del seminario verrà inoltre dedicata alle tecnologie per la sostenibilità, attraverso la descrizione di casi pratici di autocostruzione in muratura, in legno, in balle di paglia, in terra cruda e architetture naturali in canne, partendo dallo studio delle caratteristiche costruttive dei materiali per giungere ai rispettivi campi di applicazione."

 


martedì 19 luglio 2011

La canapa: rinascita di una risorsa

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La canapa sativa, pianta molto versatile e con una forte tendenza al trattamento su base industriale per l'ottenimento di un elevatissimo numero di prodotti, affonda le sue origini nella notte dei tempi, ma la sua associazione alla canapa indica (pianta della stessa famiglia, ma con un contenuto di sostanza psicoattiva - THC - superiore allo 0.2%) le ha fatto conscere, dal 1950 ad oggi, un periodo buio, durante il quale ci si è dimenticati delle sue proprietà. Purtroppo c'è anche un altro fattore che l'ha relegata in secondo piano e che non ne ha consentito più la produzione (o quasi, fortunatamente!), ovvero la concorrenza sleale dei materiali plastici derivanti dal petrolio, poiché questi ultimi ne hanno preso il posto in quanto la loro produzione richiede meno tempo, costi meno elevati, ma anche un grosso sacrificio ambientale, del quale non ci libereremo molto facilmente.

La Cannabis Sativa è una pianta che viene coltivata da molti secoli e dalla quale si ricavano tutta una serie di prodotti con caratteristiche difficili da ritrovare anche nei materiali sintetici, senza contare che è stata protagonista di molti dei passaggi storici più importanti per la storia dell'umanità. Infatti di canapa erano costituite le vele dei fenici, ma anche quelle delle caravelle di Cristoforo Colombo, di canapa era la prima bibbia stampata a Gutenberg, ma anche la dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America. Ma i tessuti e la carta non sono le uniche possibili trasformazioni di questa pianta quasi miracolosa. Nel corso dei secoli tutti hanno potuto apprezzare le sue caratteristiche fisiche particolari e molto utili, come la durezza, la resistenza, la capacità di assorbire e rilasciare in maniera controllata l'umidità, e ne hanno fatto tesoro, rendendola molto diffusa in ogni parte del mondo.

Essa è anche una pianta molto facile da coltivare, infatti richiede pochissima acqua, zero fertilizzanti e cresce molto velocemente, attecchisce su qualsiasi tipo di terreno. La canapa è anche un ottimo alimento, dai suoi semi si ricava una farina molto proteica e dell'olio ricco di antiossidanti quali i famosi Omega 3 e Omega 6. L'unico svantaggio che l'ha resa obsoleta e che l'ha fatta finire quasi nel dimenticatoio è legato ai tempi di trasformazione lunghi paragonati a quelli delle materie plastiche. E non solo, ad esempio in Italia, secondo produttore europeo fino al 1950 circa. Nel 1977 una legge emanata da Cossiga ne vietò la produzione, poichè associata alla cannabis indica, perciò erroneamente considerata pericolosa e paragonata ad una droga. Fortunatamente nel resto d'Europa la sua coltivazione è continuata e perciò non se ne sono perse definitivamente le tracce, grazie anche agli incentivi di tipo comunitario che ne hanno permesso la coltivazione durante tutto questo tempo. Dal 1997 anche in Italia, esattamente in provincia di Rovigo, grazie ad una deroga speciale, il C.R.A. ente pubblico da poco staccatosi dal ministero dell'agricoltura, ha avviato una sperimentazione su mille ettari di terreno, ma si è ancora troppo lontani dalle produzioni ottenute in passato.
I mille usi della canapa
Negli ultimi anni, grazie anche alla domanda sempre crescente di economia verda, la canapa industriale sta conoscendo un nuovo sviluppo. Molti sono i paesi che stanno ricominciando a produrla intensivamente, cercando di rivalorizzare un prodotto che con lo sviluppo di nuove tecnologie e l'aumento di richieste molto paritcolari, ha trovato impiego in altri campi, come quello dell'alimentazione, dell'agricoltura di bonifica (la pratica di ripulire i terreni da particolari inquinanti o di ridare al terreno le sostanze nutritive perse con lo sfruttamento intensivo), della cosmesi e dell'edilizia ecosostenibile o bioedilizia.
Molte sono le aziende che stanno puntando su questa pianta, creando un nuovo settore economico, in sntonia perfetta con quella che è la richiesta per il futuro, ovvero un'economia nuova, basata su materie prime e prodotti ecosostenibili, sul riciclaggio e la diminuzione degli sprechi.
Negli ultimi tempi, grazie al lavoro di associazioni e aziende a favore della sua coltivazione, la cannabis sativa sta tornando alla ribalta tanto che anche grandi giornali si sono occupati di questo prodotto (come "la Repubblica", che ha pubblicato un inchiesta di Antonio Cianciullo) e probabilmente, in un futuro non troppo lontano, la canapa tornerà ad essere quello che era un tempo: una risorsa.


Alì

mercoledì 16 marzo 2011

La tragedia giapponese: il nucleare rischi e minacce!

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Le cronache di questi giorni raccontano una tragedia senza precedenti nella storia dell'umanità. Seppur terremoti di quella portata, tsunami così violenti e distruttivi ed incidenti nucleari così gravi, si sono già verificati nel corso dei secoli passati, è la prima volta che ci ritroviamo a doverle fronteggiare, senza possibilità di scampo, insieme.
La proverbiale calma del popolo giapponese è messa a dura prova dal susseguirsi degli avvenimenti e con il passare del tempo, le speranze di riuscire a salvare quel poco che è rimasto in piedi dopo la tragedia dei giorni passati, si riducono sempre più al lumicino.
Purtroppo lo sforzo necessario a bloccare le esplosioni dei reattori nucleari della centrale di Fukushima ed a mantenere bassa la temperatura degli stessi, per quanto sia grande, non sta impedendo completamente alla “potenza” delle barre d'Uranio di liberarsi.
Il rischio più grande che si corre e che le barre si fondano, grazie all'innalzamento della temperatura, e formino una massa composta dalle barre stesse, dai rivestimenti e dalla matrice d'acciaio, inoltre si corre anche il rischio che le strutture appositamente costruite attorno ai noccioli, per garantirne il completo isolamento dall'ambiente esterno, stanno cedendo, perciò il livello di radioattività nelle zone attorno alla centrale è di molto superiore al normale, circa 10 – 15 volte. Alla luce di ciò, l'organismo internazionale che si sta occupando di gestire l'emergenza, l' AIEA, ha innalzato il livello di pericolosità da 4 a 6 in una scala da 1 a 7, fino ad oggi solo Cernobyl è stato peggio.
Immagine degli edifici in cui sono contenuti i rattori nella centreale di Fukushima Marzo 2011
Intanto nel resto del mondo tutti si stanno ponendo la stessa domanda: è giusto continuare a sfidare la natura affidandosi, per produrre l'energia, al nucleare?
Non è facile rispondere subito ad una domanda del genere. Certo se si pensa al fatto che un terremoto può avere quella forza distruttiva è normale essere diffidenti, se si pensa che la produzione di energia col nucleare, oltre ad essere pericolosa, è quella che produce più rifiuti pericolosi, ha il maggior impatto ambientale, costi economici elevatissimi e per dismetterle è necessario più tempo che per costruirle, non c'è proprio da stare tranquilli. E allora perché alcuni paesi, tra cui l'Italia, continuano a puntare su questa tecnologia? Perché non si continuano a percorrere le tante strade alternative, meno dannose per la natura e per gli esseri umani, rinnovabili, quindi infinite ed a costo zero?
(In)Naturalmente sono gli interessi economici di pochi a decidere per la sicurezza e il futuro di molti, ma questa è un'altra storia e non è il caso di mettere altra carne al fuoco.
La cosa che dovremmo cercare di capire da tutto ciò è che il nostro scopo principale, mi riferisco all'intera razza umana, è quello di perpetuare la nostra specie, integrandosi perfettamente ed intervenendo il meno possibile per cambiarli, nei meccanismi di evoluzioni e sussistenza di tutto il nostro eco sistema. In altre parole, è necessario ed urgentissimo iniziare a comportarsi diversamente.
La potenza distruttiva di un fenomeno naturale è difficilmente prevedibile e controllabile, questo è un dato di fatto, per cui, a mio parere non dovremmo intervenire creando situazioni potenzialmente pericolose, come si possono rivelare, ma non è altro che un esempio, le centrali nucleari. Ad avvalorare questa tesi ci sono tutti gli aspetti negativi, economici ed ambientali, che il nucleare si porta dietro.
Io personalmente ho imparato che la prima regola dell'economia è avere il massimo profitto con il minimo dei costi, allora perché continuare ad usare centrali costosissime, si per metterle su che per buttarle giù, rischi ambientali, durante e dopo la fase di produzione dell'energia, e tempi di messa in opera molto lunghi, potendo disporre di molte altre fonti con caratteristiche diametralmente opposte a queste?
Senza dimenticare che le riserve di combustibile nucleare non sono infinite, anzi sono materiali piuttosto rari.
Dovremo interrogarci nell'avvenire, chiederci se è giusto continuare a perseguire queste strade, dovremo pensare a ciò che provochiamo con le nostre azioni e, prima di tutto, rispettare il Mondo in cui ci troviamo, perché se è vero che dovremmo perpetuare la specie è anche vero che dovremmo lasciarle anche un posto in cui vivere!

Alì

sabato 12 febbraio 2011

I laser per la cura delle malattie

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Quando si parla del rapporto tra luce e pelle, il pensiero vola subito al sole ed all'abbronzatura, ma anche alle lampade solari che si utilizzano nei centri estetici, per l'abbronzatura anche d'inverno.
In realtà non è sbagliato pensare alla luce solare, poiché è molto importante per la pelle e per il suo sviluppo, anche se – come del resto tutte le cose – non si deve abusarne onde evitare l'insorgere di danni più o meno permanenti. Infatti in tutti i soggetti che espongono la propria pelle al sole o alle lampade abbronzanti per troppo tempo, insorgono problemi cutanei. Dalla comparsa di semplici macchie, all'invecchiamento precoce del tessuto, alla presenza di cicatrici in seguito alle ustioni, fino ad arrivare ad angiomi e tumori benigni e maligni del tessuto cutaneo.
Tutti questi danni, provocati dall'eccessiva esposizione alla luce solare, possono essere curati grazie alla terapie che sfruttano un altro tipo di luce: il laser (light amplification by stimulated emission of radiaton).
Schema di una sorgente laser che emette un fascio di luce verde. 
I laser sono delle sorgenti luminose che emettono dei fasci di luce con quattro caratteristiche fondamentali, ovvero coerenza, monocromaticità, collimazione e brillanza. Ed è proprio grazie a queste proprietà che il laser può essere usato in molti campi che vanno dal trattamento di superfici delicatissime, al taglio di molti materiali, alle misure di particolari proprietà della materia, o di velocità e distanze, alla cura di malattie cutanee ed oftalmologiche, in ogni caso con una precisione ed accuratezza senza pari.
Nella cura delle malattie, per esempio, si sfruttano i fasci laser pulsati, meglio conosciuti come laser frazionati, impulsi laser emessi ad intervalli di tempo regolari ed in fase, per colpire in maniera controllata il tessuto. Si possono eliminare in questo modo, solo le parti danneggiate, lasciando intatte le zone circostanti non interessate dal problema, con una precisione più che “chirurgica”.
Dispositivo chirurgico con tecnologia laser
Gli interventi che sfruttano la tecnologia laser non lasciano segni o cicatrici, ed hanno una ottima percentuale di riuscita in ogni applicazione.
Ormai è una tecnica assai diffusa nella medicina occidentale ed applicata in medicina estetica, in oftalmologia, in dermatologia, ma anche in nefrologia per curare un numero di malattie sempre crescente, con una conseguente evoluzione delle tecnologie, grazie alla continua ricerca ed all'esperienza che si acquisisce col tempo e con l'utilizzo.
Tra i tanti usi chirurgici che, i laser di quarta generazione assicurano, possiamo ricordare l'eliminazione dei calcoli renali, la cura di lesioni retiniche e delle malattie della cornea, l'eliminazione di tumori e macchie dai tessuti cutanei, tutti interventi che vengo eseguiti, grazie a questa tecnica, in centri specialistici ambulatoriali e che non prevedono affatto la degenza in ospedale e particolari cure riabilitative, spesso limitate a semplici accorgimenti.
Nei campi della chirurgia estetica, delle cure antietà e dell'estetica in genere poi, la tecnologia laser è molto utilizzata per l'epilazione definitiva, per l'eliminazione di macchie, tatuaggi, piccoli nei, rughe e segni dell'invecchiamento in genere, con una semplicità ed una precisione, anche in questo caso, senza pari. Tanto che ormai sono numerosissimi gli operatori ed i centri estetici che dispongono di tali mezzi.
Molte altre ancora sono le applicazioni mediche di questa tecnologia, ma, e mi scuso per questo, per mancanza di spazio e risorse non possono essere pubblicate in questo articolo. Alla luce di ciò mi impegno a chiarire, ove possibile, i dubbi che i lettori avranno dopo aver letto questo scritto.

 Alì